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2. Se stessi 

1. I desideri 

ALLA BASE DELLA MOTIVAZIONE PERSONALE 

Segui il percorso positivo:

 agisci in funzione dei desideri. 

Abbandona il percorso negativo:

evita di farti guidare dai bisogni, trasformali in desideri. 

È il primo giorno di lavoro per due tecnici esperti. Hanno più o meno la stessa età ed hanno 

maturato   un'esperienza   precedente   simile   in   aziende   diverse.   Non   si   conoscevano;   si   sono 
vicendevolmente presentati nello stanzino dove stavano attendendo il responsabile del personale, 
che darà loro il benvenuto in azienda. Così, per rompere gli imbarazzi e far passare un po' il 
tempo, si sono stanno scambiando qualche informazione che possa permettere una conoscenza 
più approfondita... chissà, forse si troveranno anche a lavorare insieme... 

Il primo dice: “Sono molto contento di essere qui. Devo ammettere che ero piuttosto stufo del 

lavoro che facevo nella mia azienda precedente. Non vedevo l'ora di venire via, avevo veramente  
il bisogno di cambiare.”  

Il secondo dice: “Sono molto contento di essere qui. Devo confessare che anch'io ero piuttosto 

stufo di ciò che facevo nell'azienda precedente. Non vedevo l'ora di occuparmi di ciò che mi  
hanno   proposto   qui.   Era   da   un   po'   di   tempo   che   stavo   puntando   ad   un'occasione   di   questo 
genere”. 

Stessi lavori, stessa età, stessa situazione... ma motivazioni diverse. 
Entrambi i tecnici hanno lasciato un'azienda per accettare il lavoro presso un'altra azienda. 

Motivano questa scelta usando quasi le stesse parole. Però qualche piccola sfumatura ci rivela la 
diversità del loro approccio. Il primo afferma “Non vedevo l'ora di andare via”, mentre il secondo 
asserisce “ Non vedevo l'ora di occuparmi di queste cose”. 

Entrambi sono stati “motivati” da qualche ragione per fare la stessa azione: cambiare lavoro. 

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Ma le due motivazioni hanno una natura diversa. 

La motivazione del primo è mossa  dai bisogni. La motivazione del secondo è mossa  dai 

desideri. Il primo segue un meccanismo che lo porta ad agire allontanandosi da qualcosa che per 
lui costituisce un'esperienza negativa. Agisce per evitare un disagio, un dolore, una sofferenza. Il 
secondo invece agisce per perseguire una meta. Non “si allontana” da qualcosa, ma “va verso”  
qualcosa.  

Il primo è “spinto” da un bisogno, il secondo è “attirato” da un desiderio
Se voi foste il loro nuovo datore di lavoro, quale dei due tecnici preferireste? Secondo voi, 

quale dei due tecnici ha più probabilità di fare un lavoro eccellente? Quale sarà probabilmente più 
motivato e contento? Quale farà più carriera? Quale guadagnerà di più e farà guadagnare di più 
voi? 

Certo, è difficile dirlo se non si hanno tutti gli elementi in mano. Ma proviamo a fare un 

ragionamento come se tutte le altre caratteristiche dei due personaggi fossero identiche. Ma da 
questa   semplice   distinzione   fra   “bisogno”   e   “desiderio”   è   già   possibile   dire   chi   parte 
avvantaggiato. 

Quando parliamo di desiderio facciamo una operazione mentale chiamata “anticipazione”. È 

come se prevedessimo ciò che vogliamo ottenere, anche se a volte facciamo fatica a renderci  
conto in modo completo di ciò che vogliamo. L'anticipazione è un'idea, una tensione emotiva 
mista a una scelta razionale. L'anticipazione pone un traguardo positivo che si vuole raggiungere. 
È il meccanismo che fa scattare la voglia di realizzare, di “determinare” se stessi: di mettere a  
frutto nella realtà concreta le proprie capacità personali.  

Il  bisogno  invece è il tipo di motivazione che deriva dalla volontà di ridurre uno  stato di 

necessità. Solitamente il concetto di bisogno si riferisce a stati di tipo fisiologico: si dice che i 
bisogni primari siano la fame, la sete, il sesso, il sonno. Questo perché i bisogni sono legati al 
mantenimento   di   un  benessere:   in  primo   luogo  di   tipo  fisiologico,   in  secondo  luogo  di   tipo 
sociale. 

Il primo tecnico aveva bisogno di andare via da quell'azienda, e i motivi possono essere vari: 

forse era troppo lontano da casa (bisogno di tipo fisiologico); magari non andava d'accordo con il 
capo (bisogno di tipo sociale). Qualunque siano stati questi bisogni, in quanto tali hanno una serie 
di caratteristiche che sono state date loro da madre natura.  

Innanzi tutto sono “intensi”: si fanno sentire con una certa forza. Ecco perché molto spesso il 

nostro comportamento è condizionato da essi. Quando ci sono, fanno di tutto per farsi sentire. 

Poi sono  “urgenti”: non ci lasciano in pace finche non sono stati soddisfatti. Infine sono 

“irrefrenabili”:   si   possono   contenere,   ma   quando   trovano   qualche   valvola   di   sfogo   sono 
piuttosto difficili da controllare. Per questo motivo spesso agiamo in preda all'impulso, facciamo  
scelte di cui poi magari ci pentiamo. Succede quando la nostra priorità non è il raggiungimento di 
una meta, ma il soddisfacimento di un bisogno. Quando poi il bisogno è stato soddisfatto, forse ci 
rendiamo conto che abbiamo fatto qualcosa di cui non siamo convinti.  

Riprendiamo l'esempio del tecnico: forse ha cambiato azienda per avvicinarsi a casa, forse 

perché non sopportava più il suo capo o forse per entrambe le cose. Ma una volta avvicinatosi a 
casa e cambiato capo, sarà convinto degli altri elementi del nuovo lavoro che durante la sua scelta 
ha messo in secondo piano? Magari gli è andata bene (ma  non si può contare sempre  sulla 
fortuna), magari è caduto dalla padella alla brace, trovando altri elementi di insoddisfazione. 

Lo specialista che, nell'esempio, ha agito in funzione di un desiderio, è andato verso qualcosa 

e non via da qualcos'altro, e ha più probabilità di essere soddisfatto dal nuovo lavoro. A meno che 
non sia stato imbrogliato e che il lavoro non consista veramente in ciò che gli era stato promesso, 
lui sa che troverà già un buon motivo di soddisfazione in ciò che lo aspetta. In seguito potrà  
trovare delle difficoltà, ma sarà nelle condizioni migliori per poterle valutare con oggettività,  
senza cadere nella demotivazione. 

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Perciò parlare di “bisogno” ci fa percorrere il percorso negativo, mentre parlare di “desiderio” 

ci mette su quello positivo.  

Ridurre uno stato di necessità per arrivare ad uno stato di soddisfazione significa passare, se 

vogliamo fare un paragone “matematico”, da -1 a zero. se invece tendiamo ad una meta passiamo 
da zero a +1. C'è una bella differenza, no? 

Ma non è tutto. Se riduciamo un bisogno, non è detto che automaticamente si presentino dei 

desideri da raggiungere. Piuttosto è più probabile il contrario: una volta ridotto quel bisogno se ne 
presenteranno altri a cui non avevamo pensato prima. Insomma, in questo caso ci troveremo nel  
percorso negativo, dove un elemento negativo fa aumentare la probabilità che se ne presentino 
altri. 

Avendo scelto il nuovo lavoro per allontanarsi dal vecchio capo, il tecnico sarà molto attento 

nel   valutare   quello   nuovo.   Ma   sarà   facile   che   vi   trovi   una   persona   senza   difetti?   Molto 
probabilmente i difetti di quello nuovo a poco a poco si faranno agli occhi di quel tecnico sempre  
più pesanti fino, nuovamente, all'insopportabilità.  

Se   invece   raggiungiamo   una   meta   motivata   dal   desiderio,   saremo   più   che   incentivati   nel 

volerne   raggiungere   un'altra   che   intanto   avremo   identificato.   Sempre   rimanendo   nel   nostro 
esempio, se il tecnico ha accettato il nuovo lavoro perché avrà l'opportunità di lavorare sulle reti 
di personal computer, una volta raggiunto questo traguardo se ne porrà un altro: per esempio 
gestire un piccolo gruppo di tecnici. Insomma, in questo caso, quando ad un traguardo se ne 
aggiungono altri, ci si trova in pieno percorso positivo. 

Adesso è chiaro. Alla base dei nostri comportamenti ci sono bisogni e desideri. Ma allora cos'è  

la motivazione? Quando solitamente si parla di motivazione si mischiano insieme i due concetti 
di bisogno e di desiderio, si fa un po' di confusione. La motivazione si riferisce ad entrambi, ed è 
la spiegazione che si dà ad una certa azione, sia che risponda ad un bisogno, sia che risponda ad 
un desiderio. Nel primo caso la motivazione è la “causa” che ha spinto ad una certa azione, nel 
secondo è la “ragione” per cui una certa cosa è stata fatta. 

Ah,   mentre   noi   stavamo   ragionando   sulle   motivazioni   e   i   due   tecnici   continuavano   a 

“parlottare” fra di loro, è arrivato il responsabile del personale ad accogliere i nuovi assunti. Ha  
bussato ed è entrato nel salottino, salutando e scusandosi per il leggero ritardo. Uno dei due ha  
rivolto un cenno di saluto, poi ha abbassato lo sguardo e, facendo pressione con entrambe le mani 
sulle ginocchia, un po' stancamente ha cominciato ad alzarsi. L'altro intanto era già in piedi e 
stava stringendo la mano al responsabile del personale, con un sorriso cordiale. Secondo voi  
quale dei due è motivato dal bisogno e quale dal desiderio? 

Proviamo d'ora in poi a fare attenzione alle parole che usiamo quando motiviamo ciò che 

abbiamo fatto o vorremmo fare: ci muoviamo in funzione dei desideri o in funzione dei bisogni? 
Il quesito è importante, soprattutto per una ragione. Sia i bisogni che i desideri muovono le  
azioni. 
Sono importanti entrambi. Ma mentre i bisogni possono anche portare a conseguire i risultati, essi 
da soli non bastano per mantenerli. Per mantenere i risultati e renderli sempre migliori ci vuole 
lo stimolo dei desideri. 

Motivazione di base: indicatori di percorso 

Percorso positivo : 

1. tensione verso i desideri 

1.

2. “motivazione” = “ragione per cui... ” 

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1.

3. azione = “andare verso” qualcosa Percorso negativo: 

2.

1. riduzione di bisogni 

2.

2. “motivazione” = “causa per cui... ” 

3.

3. azione = “andare via da” qualcosa

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4.

IDEE IN AZIONE N°11: il sogno 

Prendi alcune riviste ricche di fotografie e immagini, e sfogliale. 

Tra le tante immagini, scegli quella che maggiormente simbolizza i tuoi desideri. 

Qualsiasi immagine va bene: i grattacieli di New York, un'isola delle Maldive, un atleta sul  

podio… L'importante è che ti colpisca più delle altre, che abbia per te un grande significato emotivo

Incolla l'immagine che hai scelto in una pagina del C-Book a lei dedicata. 

2. Le aspirazioni 

LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL LUNGO TERMINE 

Segui il percorso positivo:

identifica un'idea verso cui tendere, un orientamento 

che ti attira e seguine gli indicatori. 

Abbandona il percorso negativo:

evita di lasciare vaghi i bisogni che hanno finora guidato 

le tue azioni, identificando gli indicatori negativi. 

Alice è nel paese delle meraviglie. Ad un certo punto arriva ad un bivio. Non sa che strada 

prendere. Allora nota uno strano animale appollaiato tranquillamente su un albero, proprio in  
mezzo al bivio. “Scusa”- domanda Alice - “mi sapresti indicare la strada giusta?” “Dove devi 
andare?” domanda a sua volta l'animale. “Non lo so”, risponde Alice. “Allora non posso indicarti 
la strada, se non sai dove devi andare”. 

Se questa breve storiella può sembrare banale, provate a pensare a quante persone ci danno 

consigli senza neanche sapere quali sono i nostri obiettivi. Ma noi stessi ce li siamo mai chiariti
i nostri obiettivi? Eppure prendiamo un sacco di decisioni ogni giorno. Ogni giorno come Alice 
scegliamo di prendere una strada anziché un'altra. Eppure è probabile che spesso non sappiamo 
bene dove ci stiamo dirigendo.  

Ma prima o poi arriva la domanda che solitamente cerchiamo di evitare come la peste. Stiamo 

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parlando della classica domanda spesso ripetuta: “Che cosa vuoi fare da grande?” Diciamolo  
francamente: questo interrogatorio ci dà fastidio. Infatti se avessimo presente con chiarezza dove  
vogliamo arrivare saremmo già, come dice un vecchio detto, a metà dell'opera. Quasi sempre  
invece abbiamo delle idee vaghe, ma nessun punto di arrivo chiaro in testa. Così la maggior parte 
delle volte evitiamo di rispondere alla domanda. Anzi, evitiamo anche di pensarci, rimandando il 
problema. Non a caso uno dei momenti più difficili nel rapporto con noi stessi è quello in cui ci 
mettiamo davanti allo specchio e ci chiediamo: “Che cosa voglio da me stesso, dagli altri e dalla 
vita in generale?” La risposta non è per niente facile. 

Però   prima   o   poi   questo   argomento   si   deve   affrontare,   perché   più   il   tempo   passa   meno 

riusciremo ad agire con efficacia. Quanto prima comprendiamo ciò che vogliamo veramente, 
tanto prima possiamo  fare qualcosa di valido  per ottenerlo. Più aspettiamo, più rischiamo di 
compromettere l'operazione, perché perdiamo tempo prezioso illudendoci che possano arrivare il 
tempo, gli eventi o qualcun altro a chiarirci le idee. Così probabilmente ci troveremo alle soglie  
della pensione senza avere ancora risolto questo dilemma. 

Ma perché ci comportiamo cosi? 
Uno dei motivi per cui si cerca di rimandare la scelta è la paura di sbagliare nel farla. Si crede  

che se per caso si sbaglia una scelta di questo genere, ci si comprometta per sempre. Questo 
ragionamento è troppo drastico: nessuna scelta a lungo termine è definitiva. I tempi cambiano, e 
con essi cambiano anche gli obiettivi e le opportunità.  

È assurdo pensare   che   ad un  certo punto una  persona  debba  chiarirsi  definitivamente  gli 

obiettivi della propria vita e mantenerli fissi. Non è possibile e neanche conveniente. 

Ma allora è meglio non porseli? Neanche questo è corretto. Se non ci poniamo degli obiettivi 

rischiamo di vivere alla giornata, di vagare senza una meta.  

Così un  punto di riferimento  lo dobbiamo avere: un punto di riferimento in funzione del 

quale possa valere la pena di fare una scelta anziché un'altra; un punto di riferimento che ci può  
guidare quando dobbiamo prendere una decisione. Qualcosa che non sia ancora un traguardo ben 
identificato, ma che si possa mettere a fuoco a poco a poco, per approssimazioni successive. 

È un processo che ricorda quando si cammina nella nebbia senza sapere bene dove ci si sta  

dirigendo. Però comunque si procede: l'importante è avere dei punti di riferimento. Ad esempio,  
possiamo scorgere tre luci, diverse una dall'altra: una piccola bianca, una orizzontale azzurra, una 
verticale gialla. Tra queste magari scegliamo la gialla, perché ci sembra quella di un bar, e ci 
dirigiamo verso di lei. Non abbiamo ancora capito bene che cosa ci sia là, ma camminiamo verso 
quella luce. Evitiamo le altre due, perché una sembra quella di un'abitazione e l'altra quella di un 
segnale stradale. Non ci interessano, perché abbiamo deciso di cercare un posto dove possiamo 
ristorarci e telefonare. Avvicinandoci alla luce scelta ci rendiamo conto che non è un bar ma un  
negozio, che a quell'ora è chiuso. 
Però ci siamo avvicinati ad una zona commerciale e notiamo che ci sono altre luci lì vicino. Sono 
insegne luminose, ed una è quella di una pizzeria. Bene! Possiamo entrare, mangiare qualcosa e 
fare la nostra telefonata. 

All'inizio  non  avevamo   ben  chiaro  dove  volevamo  arrivare  e  abbiamo  preso un punto  di 

riferimento: la luce gialla. Una volta sul posto, abbiamo potuto fare meglio le nostre scelte e 
puntato sulla pizzeria. Non sapevamo neanche che ci fosse una pizzeria: pensavamo di trovare un  
bar. Però, una volta lì, abbiamo ridefinito le nostre esigenze in funzione della situazione trovata. 

Tutto ciò è stato possibile perché ad un punto di riferimento abbiamo associato l'idea di un 

obiettivo di massima: luce gialla = locale. Poco importa se non abbiamo trovato un bar: intanto ci 
siamo   messi   nella   giusta   direzione   evitando   un'abitazione   e   un   segnale   stradale,   che   non   ci 
interessavano.   Poi   siamo   riusciti   a   raggiungere   lo   stesso   il   nostro   obiettivo   di   ristorarci   e 
telefonare. E ci è andata anche meglio del previsto, visto che una pizzeria è più confortevole di un 
bar.

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Così è anche per gli obiettivi più importanti. È inutile cercare di definirli in modo preciso: non 

possiamo avere adesso la piena visibilità di ciò che accadrà in futuro. È piuttosto opportuno 
identificare un obiettivo di massima e puntare verso quello. Quando ci saremo avvicinati ci sarà 
più facile chiarirci le idee e trovare il vero obiettivo su cui dirigerci con sicurezza. Come nel caso 
della pizzeria. 

Così   è   importante   fare   una   doppia   operazione:   identificare   un'idea   verso   cui   tendere 

(nell'esempio, il locale pubblico dove ristorarsi e telefonare) e scegliere un punto di riferimento 
che pensiamo possa portarci a quell'idea (la luce gialla). Avremo così la sicurezza per lo meno di 
avvicinarci alla meta che abbiamo scelto. Anche se magari prima ci aspettiamo un bar, mentre poi 
troviamo una pizzeria. 

Ci bastano un'idea e un punto di riferimento. Semplice, no?  
Adesso vediamo come è possibile applicare questo concetto alla nostra vita. 
L'“idea”  identifica   la   proprie  aspirazioni,   le   proprie   predisposizioni.   Per   avere   un'idea   è 

necessario   capire   verso   cosa   si   è   portati,   qual   è   la   propria   predisposizione.   Il  “punto   di 
riferimento”
  è  l'obiettivo  tangibile   che   in   quel   momento   sembra   più   vicino   all'idea   che 
dobbiamo raggiungere. Ma sia ben chiaro: possiamo anche cambiare tanto l'idea quanto il punto 
di riferimento, a seconda di come  la situazione cambia intorno a noi, anche se si tratterà di 
progressivi aggiustamenti più che di mutamenti radicali. 

Così la domanda da “un milione di dollari” va così riformulata: “Qual è l'idea che hai per il 

tuo futuro e su cosa stai per ora puntando per poterla realizzare?” È una formulazione molto più 
concreta del solito “Cosa vuoi fare da grande?” 

Ma focalizzare l'idea per il proprio futuro non è una cosa facile. Abbiamo focalizzato meglio il 

problema e lo abbiamo semplificato, ma il problema sempre rimane! 

Come  possiamo  sapere ciò che vogliamo?  Può darci aiuto chi ha studiato la motivazione 

umana   con   particolare   riferimento   alle   predisposizioni   delle   persone:   ciò   che   qui   abbiamo 
chiamato  l'“idea”.  È  stato scoperto  che   queste  predisposizioni  sono  formate  da  tre  elementi 
fondamentali
. Ognuno di noi li possiede tutti, in maniera maggiore o minore. Può succedere che 
un elemento prevalga sugli altri, in questo caso si dice che la persona è “predisposta” verso quel  
fattore particolare. Per identificare la nostra “idea”, la meta verso la quale puntare nel lungo 
termine, è necessario capire come questi elementi fra loro si bilanciano, e se in noi c'è uno di essi 
che prevale. Se c'è, quella è la nostra “idea”: poi dobbiamo trovare un punto di riferimento per 
cominciare a dirigerci verso di essa. 

Prima di svelare quali sono questi tre elementi, facciamo un piccolo esperimento che può 

aiutarci a capire se in noi ce n'è uno che prevale. Cerchiamo di identificare questa idea, e quali  
caratteristiche abbia. 

Concentratevi su questa immagine

c'è una persona in mezzo ad altre persone. Questa persona sta parlando e le altre l'ascoltano.  
Sono tutti in piedi. 

Adesso provate a leggere le tre ipotesi che seguono e scegliete quella che vi piace di più. Se 

voi foste quella persona, quale sarebbe fra le tre ipotesi la spiegazione migliore della situazione  
raffigurata? Pensateci bene e fate la vostra scelta. 

Ipotesi numero uno

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È   il   membro   di   un   team,   molto   amato   e   considerato   dai   suoi   compagni.   Il   team   sta  

elaborando una strategia e per fare questo richiede che ogni membro possa esporre il proprio  
punto di vista. 

È   il   suo   turno   nell'esposizione,   e   tutti   lo   stanno   ad   ascoltare   con   interesse.   Lui   si   sta  

impegnando al massimo perché già altre volte, grazie al suo spirito di squadra, tutti hanno avuto  
un   certo   beneficio.   Anche   questa   volta   non   vuole   deludere   i   suoi   compagni:   la   loro  
considerazione e il loro affetto è ciò a cui più tiene. 

Ipotesi numero due

È il massimo esperto nella sua materia. Si è preparato a lungo e ha investito parecchie  

energie in ciò che considera un po' lo scopo della sua vita. 

I risultati lo hanno ripagato, perché ora quando lo chiamano per un problema da risolvere  

tutti lo ascoltano con grande attenzione: sanno di avere di fronte il migliore in assoluto per  
quanto riguarda quegli argomenti. 

Lui parla con entusiasmo, con convinzione, e trasmette anche a chi lo ascolta un'immagine di  

alta   preparazione   e   professionalità.   I   presenti   lo   apprezzano   e   lo   ammirano   per   la   sua  
preparazione, ma lo invidiano anche un po' per i suoi risultati

Ipotesi numero tre

È il capo di un gruppo. Il suo compito è quello di coordinare gli altri, che lo ascoltano con  

attenzione perché dovranno fare ciò che lui dirà loro. 

È lui che decide, in base a ciò che ritiene più giusto debba essere fatto, cercando di utilizzare  

al meglio le potenzialità di ognuno, perché il risultato finale è in gran parte frutto della sua  
bravura nel gestire i suoi collaboratori. 

A volte qualcuno può non essere d'accordo con lui ma non importa: quando ha preso una  

decisione significa che ci ha pensato bene e che ritiene sia quella giusta, per cui non cambia  
idea. Per questo le persone solitamente lo seguono. 

Ecco, queste sono le tre idee fondamentali. Ognuna di queste rappresenta una tendenza ben 

precisa, uno degli orientamenti che sono alla base delle aspirazioni di ognuno. Le avete lette 
bene? Avete scelto quella che vi attira di più, quella che più delle altre realizzerebbe i vostri  
desideri?  

Dovete   essere   molto   sinceri   mentre   fate   questo   ragionamento.   Ricordiamoci   che   siamo 

nell'area del rapporto con noi stessi e qui barare non è valido, ci inganneremmo da soli. Tanto più 
che non ci sono risposte giuste o sbagliate. 

E ora andiamo alla scoperta delle tre idee. Potete leggere prima il significato di quella che  

avete scelto, ma poi tornate con attenzione anche alle altre due: ricordatevi che sono tutte presenti 
in   ogni   individuo,   e   anche   se   generalmente   ce   n'è   una   che   prevale   bisogna   pensare   che 
l'aspirazione individuale sia frutto di  un mix delle tre. Identificare l'orientamento prevalente 
significa capire qual è la motivazione nel lungo termine, quella più stabile nel tempo perché  
rispondente a ciò per cui ci si sente predisposti. 

2.1. Prima idea: l'affiliazione 

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L'ipotesi   numero   uno   (ma   l'ordine   è   puramente   casuale)   identifica   la   tendenza 

all'“affiliazione”.   Chi   sceglie   questa   ipotesi   è   gratificato   dallo  stare   insieme   agli   altri.   È   nel 
contatto   con   le   persone  e   nel   rapporto   con   gli   altri   che   trova   la   sua   dimensione   ideale. 
Naturalmente   deve   essere   un   rapporto   tra   pari,   dove   tutti   trovano   soddisfazione   nello   stare 
insieme e nel  collaborare  e dove tutti prestano una grande attenzione al fatto che il clima sia 
sempre positivo.  

Colui che tende all'affiliazione viene stimolato dal fatto di fare parte di un team. Quando si 

trova all'interno di un gruppo prende forza, energia e le sue potenzialità si moltiplicano. Questo 
funziona tanto meglio quanto più egli si trova a lavorare con persone che già conosce da tempo, 
con le quali ha avuto modo di costruire un rapporto significativo e che magari hanno i suoi stessi 
interessi, sono molto simili a lui. 

Per lui sono fondamentali la stima e l'interesse da parte dei colleghi, per sentirsi pienamente 

accettato e per essere “come gli altri”. Fa molta attenzione che, all'interno del gruppo, non ci sia 
qualcuno che vuole prevalere o imporre la propria volontà. 

La   tendenza   all'affiliazione   è   alla   base   del   “motivo”   per   cui   sia   fanno   o   non   si   fanno 

determinate azioni. Quindi è una “motivazione”. E come abbiamo visto nel precedente paragrafo,  
come tutte le motivazioni può essere mossa sia da bisogni che da desideri. Vediamo quali sono. I  
bisogni che chi ricerca l'affiliazione vuole soddisfare sono legati alla paura del rifiuto. Ci sono 
sicuramente   delle   cause   per   cui   esiste   questa   paura   del   rifiuto  da   parte   degli   altri,   come   ad  
esempio l'avere subito ferite connesse a disattenzioni, maltrattamenti, separazioni. Qui non ci 
interessa indagarle. Sapere quali sono non ci dà nessun vantaggio. Una volta anche avessimo 
scoperto,   con   gran  fatica,   quali   sono  state   le   esperienze   della   nostra   infanzia   per   cui   siamo 
cresciuti con la paura del rifiuto (ovviamente nel caso in cui noi avessimo una forte tendenza 
all'affiliazione), non avremmo fatto neanche un piccolo passo avanti per migliorarci.  

L'importante è invece constatare la situazione e orientare le nostre azioni in modo che siano 

produttive. Avevamo detto infatti che la necessità di soddisfare dei bisogni ci porta dritto nel 
sentiero negativo. Per questo dobbiamo sempre tenere presente che se ricerchiamo la compagnia 
degli altri perché abbiamo paura del loro rifiuto siamo su questo percorso. E faremo fatica ad 
uscirne perché, come abbiamo visto, una volta cominciato a seguire un certo percorso scattano le  
reazioni circolari che tenderanno a mantenerci su quel terreno.  

Per esempio, se cerchiamo la collaborazione solo per sentirci integrati, tenderemo a non dire 

veramente quello che pensiamo ma quello che riteniamo possa trovare l'approvazione da parte 
degli   altri.   E   saremo   gratificati   se   “avremo   indovinato”   il   comportamento   che   incontrerà 
l'approvazione degli altri e se questi saranno d'accordo con noi. Saremo invece abbattuti quando 
gli altri non terranno in considerazione le nostre osservazioni. In questo caso correremo un grosso 
rischio: tenderemo a cambiare idea a seconda di come si muove il gruppo.  

Così in un momento sosterremo una posizione, poi quando le cose cambiano ne sosterremo 

un'altra. A noi magari sembrerà di essere coerenti, perché ciò che ci interessa veramente è la 
coesione del gruppo, ma agli altri potremo sembrare una banderuola che cambia parere a seconda 
di come tira il vento. E quindi rischieremo di perdere progressivamente credibilità. Perdendo di 
credibilità gli altri ci staranno ad ascoltare meno, quando toccherà a noi parlare. E siccome non ci  
sentiremo ascoltati, saremo ancora più abbattuti. Così faremo di tutto per dire qualcosa che sia 
apprezzato, cercando ancora di comunicare ciò che ci sembra condiviso da tutti. Ma così facendo 
saremo   ancora   meno   credibili   e   ci   ascolteranno   ancora   meno.   E   così   via:   ecco   la   reazione 
circolare nel percorso negativo. 

Entriamo ora nel percorso positivo. Chi ricerca l'affiliazione può essere mosso anche da un 

desiderio: il  desiderio di protezione. Ovvero, il desiderio di fare qualcosa affinché gli altri ne 
godano un beneficio, il desiderio di mettere le proprie risorse a disposizione degli altri e di trarre  
beneficio dalle risorse degli altri. In altre parole, proteggere ed essere al contempo protetti. In 

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questo caso l'approvazione da parte degli altri viene sempre ricercata, ma per motivi molto diversi 
rispetto a quelli derivanti dalla paura del rifiuto. Non si ricerca l'approvazione degli altri per 
sentirsi accettati, ma per dare agli altri un beneficio, un vantaggio. Così, se questa approvazione 
non arriva, pazienza. Vorrà dire che gli altri hanno ritenuto più vantaggioso non ascoltare il  
nostro punto di vista, Non si può certo essere sempre ascoltati. Anzi, dobbiamo essere contenti 
perché abbiamo dato a chi ci sta intorno un'opportunità in più: la nostra idea. Anche se questa 
idea non è stata accettata, il solo fatto che sia stata esposta garantisce che la scelta finale è stata 
compiuta   su   una   base   più   ricca   di   elementi,   a   tutto   vantaggio   per   la   soluzione   intrapresa.  
L'importante è che il gruppo abbia potuto valutare anche il nostro punto di vista. 

Se adottiamo questo meccanismo di pensiero ci troveremo nel ciclo positivo. Infatti quando 

lavoreremo in gruppo sapremo stare al nostro posto, tenderemo a dare esattamente ciò di cui il  
gruppo ha bisogno, se il gruppo non ha bisogno di noi ce ne staremo tranquilli, senza disperarci e 
senza pensare che ci stiano rifiutando. Così quando le nostre competenze saranno necessarie 
utilizzeranno volentieri la nostra collaborazione, perché sanno che saremo pronti per darla proprio 
nella misura in cui è richiesta. Sanno che non ci tireremo indietro e che risponderemo subito se ci 
sarà l'esigenza. Sanno che se non ci cercheranno non la prenderemo a male. Così saranno più 
stimolati a cercare il nostro aiuto, perché con noi si lavorerà bene. Ecco la reazione circolare che 
ci fa rimanere nel percorso positivo. Se la motivazione “affiliation” sarà forte in noi, questa è la 
strada   grazie   alla   quale   potremo   sentirci   amati,   accettati,   ben  voluti   e   con  la   quale   potremo 
consolidare sempre di più i nostri legami interpersonali. 

2.2. Seconda idea: la riuscita 

La seconda tendenza evidenziata è quella della riuscita, dell'“Achievement”. 
Quando   si   punta   all'achievement   non   si   fa,   come   nel   caso   precedente,   un'azione   tesa   al 

beneficio del gruppo ma  un'azione tesa al beneficio individuale (anche se queste azioni sono  
sempre tese al beneficio individuale, che nell'affiliazione viene raggiunto attraverso gli altri). 

Orientamento alla riuscita significa trarre soddisfazione nel fare le cose nel  miglior modo 

possibile. Anche in questo caso possiamo cercare i due moventi base, quello positivo e quello 
negativo. 

Il movente negativo risiede nella paura del fallimento. In questo caso l'impegno alla riuscita 

è molto forte perché è grande il timore di fallire, per cui si intensificano tutti gli sforzi per non 
fallire. È abbastanza facile capire perché la paura del fallimento ci porta sul sentiero negativo. Se 
agiamo per evitare l'insuccesso saremo sempre in affanno, sempre timorosi di fare un passo falso 
e concentreremo le nostre energie per evitare quel passo falso. La riuscita quindi sarà un punto 
d'arrivo ad “effetto zero”, sarà semplicemente il sollievo di non avere fallito. Se siamo motivati 
dalla paura del fallimento, poi, potremmo trovare rassicurazione nel fatto che magari altri vicino a  
noi hanno fallito. Ci accontenteremo di una riuscita che non dipende dal nostro successo, ma  
dall'insuccesso di altri. E così facendo attiveremo e accumuleremo energia negativa, che tende 
alla sottrazione di valore più che alla sua produzione. 

Il   percorso   positivo   nella   tendenza   alla   riuscita   è   invece   caratterizzato   dal   desiderio   di 

eccellenza. Ciò significa che la motivazione a raggiungere gli obiettivi risponde alla volontà di 
fare sempre meglio per autorealizzarsi, per raggiungere obiettivi sempre più interessanti.  

Quando siamo mossi dal desiderio di eccellenza sappiamo che possiamo anche sbagliare, ma 

sappiamo anche che solo alla fine, quando tireremo le somme del nostro lavoro, dovremo valutare 

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i risultati raggiunti. E quindi agiremo con entusiasmo perché sappiamo che quei risultati sono di 
estrema   importanza,   poiché   hanno   la   possibilità   di   qualificarci   in  una   dimensione   di   valore. 
Tendere all'eccellenza significa porsi delle  sfide, non solo con gli altri ma anche con se stessi. 
Significa tendere continuamente al miglioramento ed essere soddisfatti quando lo si è veramente 
raggiunto. Non è importante provare, è importante  riuscire. E per riuscire ci si impegna con 
tenacia,   puntualità,   responsabilità.   La   ricerca   dell'eccellenza   libera   energia   positiva,   perché   è 
tensione al risultato, è voglia di fare e di costruire. 

Dagli altri si cercano informazioni e stimoli per realizzare i propri progetti e conferme del 

livello   di   capacità   che   si   possiede.   Si   cerca  l'ammirazione  da   parte   degli   altri   più   che 
l'approvazione, come invece avviene nell'“affiliazione”. 

Colui che abitualmente segue questo percorso è definito un “achiever”. L'achiever può essere 

riconosciuto dal fatto che ricerca sistematicamente opportunità di crescita, sia personale che di 
carriera, ma  soprattutto tesa allo  sviluppo delle proprie capacità. Egli desidera lavorare per 
obiettivi importanti, la routine e le azioni ordinarie non lo interessano. Ricerca mete sempre più 
impegnative. 

2.3. Terza idea: il potere 

Essere orientati al potere significa tendere ad esercitare un controllo sugli altri. Chi è orientato 

al   potere   cerca   costantemente   di   porsi   in   una   posizione   di   superiorità   rispetto   agli   altri,   per 
guidarne le azioni. Tende a porsi come centro di decisione quando è necessario fare delle scelte. 

Al contrario dell'orientamento all'affiliazione e all'achievement, dove la ricerca del consenso è 

finalizzata nel primo al riconoscimento di affetti e nel secondo al riconoscimento di capacità, qui 
la ricerca del consenso è finalizzata al riconoscimento di un ruolo: un ruolo di preminenza, un 
ruolo di leader. 

Anche la tendenza al potere può essere mossa da bisogni o da desideri. 
Si può ricercare il potere quando si cerca di sfuggire dalla paura della dipendenza. In pratica, 

quando   si   ha   timore   di   dipendere   da   qualcun   altro   si   tenta   di   tutto   per   ostacolare   questa 
eventualità e per cercare piuttosto di imporre la propria posizione. In questo caso la leadership è 
ricercata più per bloccare la volontà di leadership degli altri che per affermare veramente la  
nostra. È evidente come questo processo faccia parte del percorso negativo. Se avremo affermato 
la leadership in questo modo, infatti, saremo soddisfatti, ma ci sembrerà di essere al punto di  
arrivo quando invece saremo soltanto al punto di partenza.  

Agendo   così   produrremo   energia   negativa,   perché   il   nostro   obiettivo   non   sarà   quello   di 

coordinare gli altri per produrre del valore, ma piuttosto di tenere gli altri controllati e compressi  
perché non possano arrivare a minacciarci. Molti capi in azienda seguono questo percorso e 
naturalmente   non  sono  dei   buoni   capi.   Infatti   non  concedendo  spazio  ai   propri   collaboratori 
produrranno poco valore, e dovranno inventare giustificazioni fasulle per motivare il loro operato. 
Tenderanno ad appropriarsi delle idee dei collaboratori e cercheranno di venderle come proprie 
idee, per non fare emergere chi ritengono li possa minacciare. Così saranno mal  tollerati dai 
propri collaboratori e poco stimati dai loro capi, che al primo problema reale li abbandoneranno. 

Nel percorso positivo della gestione del potere c'è invece un desiderio. È il  desiderio di 

affermazione. Chi vuole affermarsi si impegna al massimo, magari arriva a trascurare il proprio 
benessere fisico per poterlo fare, trascura i suoi affetti, intraprende azioni difficili e rischiose. La  
posta in gioco è il raggiungimento di una posizione di priorità rispetto agli altri, la possibilità di  
essere   percepiti   come   coloro   che   decidono,   di   essere   per   gli   altri   degli   indiscussi   punti   di 

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riferimento.  

Chi ricerca il potere agisce in modo che siano gli altri a porsi in una situazione di dipendenza. 

Questo avviene sia che chi tende al potere si trovi nel percorso positivo (desiderio di affermarsi), 
sia  che  si  trovi  nel  percorso  negativo (bisogno  di   evitare   la  dipendenza).  Ciò che   cambia   è  
l'atteggiamento. Nel primo caso si produce del valore: ci si afferma per guidare gli altri e portarli  
a raggiungere risultati che non sarebbero raggiunti senza la nostra guida. Nel secondo caso ci si 
afferma   per   comprimere   gli   altri   e   per   rassicurarsi   sul   fatto   che   nessuno   possa   mettere   in  
discussione le nostre posizioni. 

La differenza sta  nell'agire in funzione dell'entusiasmo  rispetto  all'agire in funzione della  

paura. C'è una bella differenza, no? Di chi vi fidereste di più, di un capo entusiasta o di un capo  
pauroso?   secondo   voi   chi   agisce   cercando   di   fare   anche   i   vostri   interessi?   Chi   cercherà   di 
valorizzare le vostre capacità al meglio? Con chi riuscirete a raggiungere i migliori risultati? 

Fate molta attenzione, perché nel momento in cui raggiungerete una posizione che richiede 

guida da parte vostra sugli altri, i vostri collaboratori faranno esattamente questi ragionamenti. E 
su questa base vi giudicheranno. 

Aspirazioni: indicatori di percorso 

Percorso positivo: 

1.

1. Tendenza all'Affiliazione: desiderio di protezione 

2.

2. Tendenza alla Riuscita: desiderio di eccellenza 

3.

3. Tendenza al Potere: desiderio di affermazione 

4.

Percorso negativo: 

1.

1. Tendenza all'Affiliazione: bisogno di evitare il rifiuto 

2.

2. Tendenza alla Riuscita: bisogno di evitare il fallimento 

3.

3. Tendenza al Potere: bisogno di evitare la dipendenza 

4.

IDEE IN AZIONE N°12: il triangolo delle aspirazioni 

Disegna sul C-Book tre assi, come quelle che vedi qui sotto, ed ai loro vertici scrivi le lettere A, P,  

R. 

Ognuno di questi segmenti rappresenta una diversa tendenza: Affiliazione, Potere, Achievement.  

Ogni segmento è graduato, da 0 a 10, in modo da poter indicare anche l'intensità di ogni tendenza. 

Traccia, su ogni segmento, il punto che identifica il livello con cui tu ora possiedi quella 

tendenza. Naturalmente il più alto sarà relativo alla tendenza che prevale: quella che tu avrai scelto  
durante la lettura del testo. Le altre saranno meno marcate ma pur sempre presenti: ricordati che in  
ognuno di noi c'è sempre un “mix”. 

Per fare questo lavoro puoi aiutarti con il seguente schema di autovalutazione, attribuendo un 

punteggio ad ogni singola tendenza dopo aver ragionato sugli elementi che la caratterizzano. 

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Schema di autovalutazione delle aspirazioni 

1 = minimo 10 = massimo 

RIUSCITA 

• Dal lavoro desidero soprattutto opportunità di crescita  

• Desidero lavorare per obiettivi che siano “importanti”? 
• Mi piace raggiungere risultati sempre più impegnativi? 

POTERE

1 = minimo 10 = massimo 

• Desidero organizzare il lavoro degli altri? 

• Amo che le persone si rivolgano a me per consigli? 
• Cerco di influenzare gli altri facendo prevalere le mie idee? 
AFFILIAZIONE 

1 = minimo 10 = massimo 

• Sono stimolato dal “team” e dall’affiatamento del gruppo? 

• Desidero lavorare con colleghi che conosco da tanto tempo? 

• Cerco di lavorare con coloro che hanno i miei stessi interessi? 

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• 

Unisci i punti. Otterrai una figura simile a quella di questo esempio: 

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In questo esempio c'è forte tendenza all'affiliazione, media alla riuscita e bassa al potere.  

La figura che tu hai ottenuto rappresenta quali sono, attualmente, le tue aspirazioni. 

Ragiona sulla tua figura e pensa a come vorresti cambiare, come vorresti diventare da qui a 

tre anni. 

Prendi una penna di colore diverso e traccia, sullo stesso disegno, un altro triangolo che  

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rappresenta il tipo di cambiamento che vorresti ottenere. 

Seguendo l'esempio appena proposto, la figura potrebbe variare così: 

In questo caso il cambiamento prevede una diminuzione dell'orientamento all'affiliazione ed un  

investimento di energie finalizzato all'aumento delle tendenze alla riuscita ed al potere. 

Perché questo esercizio possa essere utile ed efficace, è necessario svolgerlo con obiettività e 

sincerità

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3. Le aspettative 

LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL MEDIO TERMINE 

Segui il percorso positivo: 

agisci equilibrando i soddisfattori e puntando sui motivatori, facendo una scelta di  

priorità. 

Abbandona il percorso negativo: 

evita di confondere le due categorie, di privilegiare i soddisfattori, di puntare su tutti i  

fattori indiscriminatamente. 

Abbiamo appena esaminato le motivazioni nel lungo termine, ovvero gli elementi verso cui 

orientiamo i nostri comportamenti per realizzare le nostre aspirazioni. Abbiamo parlato di “lungo 
termine” perché sappiamo benissimo che le aspirazioni non si possono realizzare subito, bisogna 
mettere in conto un po' di tempo. Abbiamo anche visto che è necessario capire quali sono gli 
orientamenti verso cui si è più “portati”, i traguardi che ci attirano di più: l'affiliazione, la riuscita 
o il potere. Così i nostri comportamenti devono essere funzionali al raggiungimento del traguardo 
che sentiamo più adatto a noi. Per esempio, se per noi è importante la riuscita, sarà preferibile che 
accettiamo   un   lavoro   dove   possiamo   accrescere   le   nostre   competenze   e   risolvere   problemi. 
Saremo più indicati probabilmente per un lavoro specialistico piuttosto che per un ruolo dove 
dobbiamo coordinare delle persone, come può essere una posizione manageriale. Sceglieremo  

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questo secondo tipo di lavoro se abbiamo un forte orientamento al potere. Qualora invece fosse  
indispensabile lavorare in team, dovremmo possedere una forte tendenza all'affiliazione. 

Ecco quindi come le “idee”, gli “orientamenti” che abbiamo identificato devono servirci per 

prendere decisioni su ciò che “vogliamo fare da grandi”. Dobbiamo cercare di indirizzarci verso 
l'area   per   la   quale   siamo   più   portati,   altrimenti   ci   esponiamo   al   rischio   di   fallire.   Se   infatti 
sceglieremo o accetteremo una situazione non conforme alle nostre tendenze saremo demotivati o 
inadatti a far fronte alle richieste della situazione stessa. 

Tutto   ciò   per   quanto   riguarda   le   prospettive   a   lungo   termine,   quelle   che   sono   misurate 

nell'arco di anni.  

Avviciniamoci ora sempre di più al presente. Facciamo un passo ancora avanti ed esaminiamo 

quali sono le motivazioni nel medio termine. Il  medio termine  è la prospettiva temporale che 
interessa le nostre azioni nell'arco di mesi.  In questo arco di tempo  noi agiamo non solo in 
funzione delle nostre aspirazioni, ma soprattutto in funzione di precise aspettative. 

Le aspettative sono il metro di paragone della nostre motivazioni nel medio termine.  
Vi ricordate i due tecnici di cui parlavamo nella parte dedicata ai bisogni e dei desideri, quelli 

appena assunti in azienda? La loro decisione di entrare in quell'azienda è probabilmente stata una 
scelta importante per la loro vita, ragionata presumibilmente a fondo. Una valutazione del genere 
deve rispondere a determinate aspirazioni, perché ha riflessi sul lungo termine. Sarà probabile 
infatti che occorra un certo tempo prima che i due professionisti si adattino all'ambiente di quella 
azienda, possano dare un valido contributo, possano godere dei benefici del cambiamento che 
hanno scelto di fare. Sarà probabile che passerà ancora parecchio tempo prima che prendano in  
considerazione un nuovo cambiamento, una nuova azienda. Sia per il tecnico che “fugge” da una 
situazione poco soddisfacente, sia per quello che “corre” verso un traguardo desiderato. 

Una volta che i due avranno fatto la loro scelta e saranno entrati nella nuova azienda, il gioco 

non sarà più solo centrato sulle aspirazioni e sulle realizzazioni nel lungo periodo. Una volta 
presa la decisione di entrare in quell'azienda e intrapresa la strada che potrà condurli ai traguardi  
futuri (lavorare serenamente con altri, oppure diventare un tecnico esperto, oppure assumere la 
guida di un gruppo), entrano in campo altre necessità ed altri scopi. Il gioco si fa più aderente alla  
realtà presente, meno aderente a quella ipotizzata, desiderata o sognata. Entrano in campo precise 
aspettative

Per capire quali possono essere cerchiamo di immaginarci i due tecnici qualche mese dopo il 

loro inserimento. Fingiamo di ascoltare il loro dialogo durante la pausa break di un corso di 
formazione al quale entrambi sono stati iscritti. 
Il primo tecnico dice: 

Non   sono   proprio   soddisfatto.   La   cosa   positiva   è   che   l'azienda   è   solida,   questo   mi 

tranquillizza. Però mi hanno messo a lavorare in un open space dove c'è parecchia confusione:  
gente che va e viene, spazio che manca.... Ho provato a parlare con il mio capo ma era occupato e 
allora ho lasciato perdere. Spero solo che fra un po' arrivi qualche gratificazione economica,  
come un aumento di stipendio.. se mi danno soldi, sarò contento e non vorrò altro”. 

Il secondo tecnico dice: 

“Sono abbastanza soddisfatto. Anch'io ho trovato dei problemi che non mi sarei aspettato. 

Quelli della confusione e della mancanza  di spazio, per esempio.  Sto mettendocela tutta per 
migliorare le condizioni. Intanto però il lavoro che faccio mi piace; dopo un inizio cauto sto 
cercando   di   affrontare   situazioni   sempre   più   difficoltose,   per   mettere   alla   prova   ciò   che   ho 
imparato. Se tutto va bene, fra poco tempo sarò probabilmente lasciato da solo nel supervisionare 

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la rete informatica aziendale, senza bisogno che un tecnico più esperto controlli ciò che faccio.  
Vedremo... qualcuno si accorgerà dei risultati: sarei contento se arrivasse un riconoscimento,  
anche simbolico.” 

Riflettiamo un momento. I nostri due tecnici si sono nuovamente scambiati il loro punto di 

vista, incontrandosi quasi per caso dopo qualche mese di lavoro. 

La situazione aziendale e professionale che i due hanno trovato è praticamente la stessa. Il  

tempo trascorso in azienda è identico. Eppure le due posizioni, ancora una volta, sono differenti. 
Variano a seconda di come ognuno dei due vede la realtà, a seconda della “soggettività” di 
ognuno.   Naturalmente   uno   si   trova   su   un   certo   sentiero   e   l'altro   su   quello   opposto.   Più 
precisamente il primo si è focalizzato solo su attese che lo fanno rimanere sul sentiero negativo,  
mentre il secondo ha puntato la sua attenzione su attese che lo collocano su quello positivo.  
Quindi è più probabile (badate: è più probabile, non è certo) che il primo disperda valore e che il  
secondo produca valore per sé e per la sua azienda. 

Ma analizziamo meglio queste attese. Possiamo identificare alcune categorie nelle quali è 

possibile collocare le motivazioni. Queste categorie sono due: una appartiene al percorso positivo 
e una a quello negativo. Cerchiamo di analizzarle, prendendo in esame proprio ciò che hanno 
detto i due tecnici. 

3.1. La prima categoria: i soddisfattori 

3.1.2 La sicurezza 

“Non   sono   proprio   soddisfatto.   La   cosa   positiva   è   che   l'azienda   è   solida;   questo   mi 

tranquillizza.” Fin da questa prima affermazione comprendiamo che il fattore della sicurezza è 
molto   importante   per   questo   individuo.   Molto   probabilmente   la   stessa   scelta   di   entrare   in 
quell'azienda è stata fatta sulla base della solidità aziendale. Così ora riconosce che la sicurezza  
che riscontra è un ottimo presupposto per una certa tranquillità di lavoro e di prospettive. Da 
questo punto di vista va tutto bene. 

3.1.3 L'ambiente 

“Però mi hanno messo a lavorare in un open space dove c'è parecchia confusione: gente 

che va e viene, spazio che manca....”  

Ecco il secondo fattore su cui l'individuo sta puntando le sue attenzioni: l'ambiente. Di questo 

non è molto contento. Lamenta  il fatto di non essere in un ufficio tranquillo, dove potrebbe  
organizzarsi e forse anche dedicarsi, non visto, a qualche piccola attività ricreativa. In ogni caso il 
problema è quello della confusione e della mancanza di spazio. Il tecnico ce lo pone come uno dei 
problemi  principali: capiamo che le cose andrebbero nettamente  meglio se l'ambiente avesse 
maggiore tranquillità e più spazio a disposizione. 

3.1.4 Il coinvolgimento 

“Ho provato a parlare con il mio capo, ma era occupato e allora ho lasciato perdere.” 
Ecco un altro motivo di insoddisfazione del nostro amico. Il coinvolgimento. Egli ha provato a 

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entrare in contatto con il suo capo per cercare di affrontare i problemi, ma si è tirato indietro.  
Vorrebbe   essere   ascoltato,   ma   si   arrende   davanti   alla   difficoltà   che   incontra   nel   trovare   un 
momento   di   comunicazione.   Non   è   soddisfatto,   perché   non   riesce   ad   esprimere   la   propria 
opinione.  

3.1.5 Il Denaro 

“Spero solo che fra un po' arrivi qualche gratificazione economica, come un aumento di 

stipendio.. se mi danno soldi, sarò contento e non vorrò altro” 

Ecco l'ultimo elemento su cui si concentrano le attenzioni e le attese del nostro tecnico: i soldi. 

Dal modo con cui affronta questo argomento, possiamo capire che per lui è quello più importante. 
Egli infatti dice molto chiaramente che è disposto a soprassedere su tutti gli altri, se riceverà un  
aumento di stipendio.  

3.2. La dinamica dei soddisfattori 

I quattro fattori sopra citati sono quelli che si celano dietro le attese del primo tecnico. Essi 

sono   contenuti   nella   prima   delle   due   categorie   che   stiamo   prendendo   in   esame.   La   prima  
categoria è quella dei “soddisfattori”. Abbiamo detto “soddisfattori”, e non “motivatori”. C'è una 
certa differenza. Questi fattori infatti  non motivano, cioè non forniscono l'energia positiva che 
serve per migliorare i nostri risultati; sono necessari, ma ci possono portare al massimo ad uno  
stato di “non insoddisfazione”. Quando li avremo raggiunti arriveremo ad un “livello zero”, ad 
un falso punto di arrivo. In altre parole, sentiremo il bisogno di puntare verso il raggiungimento 
di questi elementi quando mancano; quando invece sono presenti, noi non ci accorgiamo più di 
loro. È come se ci abituassimo rapidamente a loro. 

Possiamo  infatti considerare la sicurezza  del  posto di  lavoro un elemento importante, ma 

rimanere in un'azienda solo per la sua solidità ci può dare l'energia per creare risultati brillanti?  

La stessa domanda può essere fatta per quanto riguarda l'ambiente, il coinvolgimento.. e il 

denaro. Sì, il denaro. È una illusione pensare che più saremo pagati, più saremo soddisfatti. Se  
avremo un buon stipendio saremo forse più tranquilli dal punto di vista economico: ci potremo  
permettere la macchina nuova o una vacanza in più. Ma dovremo lo stesso passare otto ore della 
nostra giornata sul posto di lavoro, e i soldi lì non ci servono per produrre energia positiva. 
L'entusiasmo non si può comprare. Pur pagati bene, se non punteremo su qualcosa d'altro non 
saremo ancora contenti.  

Questi quattro fattori sono dei falsi motivatori. Sono falsi perché spesso vengono confusi con 

i veri motivatori, quelli che producono “voglia di fare”. 

Cerchiamo di capirne il motivo studiandoli con più attenzione. 
La sicurezza, prima di tutto. Cercare la sicurezza significa cercare situazioni di stabilità, dove 

ci si possa sentire al riparo in caso di imprevisti e di difficoltà. È giusto cercare la sicurezza: se la  
nostra   situazione   è   precaria   probabilmente   saremo   costantemente   in   preda   ad   un   senso   di 
provvisorietà, di agitazione interiore. Ma è sbagliato tendere a una sicurezza totale. Questa non 
può garantirla nessuno. Sono molti gli esempi di grandi aziende che sembravano incrollabili e che 
ad un certo punto hanno cominciato a vacillare, hanno dovuto fare i conti con esigenze di mercato 
impreviste e tali da cambiare completamente le carte in tavola. E sono così arrivate a prendere  
decisioni drastiche: ridurre il personale licenziando migliaia di persone o, nel peggiore dei casi, 
chiudere e lasciare a casa tutti. La sicurezza, inoltre, quando c'è si paga. Un'azienda solida, con un  
nome ben noto, che offre certezza e stabilità professionale, molto probabilmente avrà retribuzioni 

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mediamente   più   basse   rispetto   ad   un'azienda   nuova,   dinamica,   che   affronta   un   mercato   in 
espansione, ma dove le prospettive di carriera sono più limitate e dove da un momento all'altro si 
può risentire di una congiuntura negativa. 

Consideriamo   poi  l'ambiente:   intendiamo   anzitutto   l'ambiente   fisico,   dallo   spazio   a 

disposizione al colore delle pareti. Le condizioni ambientali devono essere tali da non costituire 
un problema. Se lavoriamo in uno spazio angusto, chiuso e poco areato probabilmente soffriremo. 
È giusto cercare un miglioramento migliorare e bisogna cercare le strade possibili per ottenerlo 
Ma sarebbe sbagliato pensare che risolto il problema, poi tutto debba andare automaticamente 
meglio. Non è così. Poco dopo essere arrivati in un ufficio luminoso e tutto per noi, ci saremmo  
dimenticati delle sofferenze passate e ci staremmo già lamentando della mancanza di qualcosa 
d'altro. L'ambiente, come buon soddisfattore, cessa di interessarci quando ci ha soddisfatto. 

La soddisfazione arriva ad un certo livello e poi si ferma: oltre non può andare. Avete mai  

visto un dirigente che si dichiara “energizzato” dal lavorare in un ufficio ben arredato? Magari  
voi che siete in un open space vorreste averne uno, ma lui che ci lavora abitualmente lo considera 
un fatto assolutamente normale, un punto di partenza e non un punto di arrivo. Lo soddisfa, ma 
non lo motiva. Se è, ad esempio, un direttore commerciale, sa che non raggiungerà i suoi risultati 
di vendita grazie al fatto che possiede un bell'ufficio.  

Per ambiente non si intende solo l'ambiente  fisico, ma anche quello  umano. È preferibile 

lavorare con colleghi simpatici e cordiali piuttosto che con colleghi scontrosi o aggressivi e infidi. 
Ma sarebbe un errore pensare che quanto migliori saranno i rapporti in ufficio, tanto migliori 
saranno le prestazioni. Spesso anzi si verifica il caso contrario: l'eccesso di disponibilità reciproca 
e l'assenza di competizione fanno venire meno gli stimoli la miglioramento. 

Per quanto riguarda il  coinvolgimento, quasi tutte le persone di solito sono scontente del 

proprio livello di coinvolgimento, quando lavorano in azienda. Così cercano di essere coinvolte 
tentando   di   carpire  informazioni  in  tutti   i   modi   e   su  tutto   ciò  che   è   possibile:   dalle   scelte 
aziendali ai fatti personali dei colleghi. Ma aumentare la nostra conoscenza su queste cose può 
solo togliere la nostra preoccupazione di sentirci esclusi, non inseriti all'interno di quelli che 
“contano”. È inoltre illusorio pensare che l'aumento delle occasioni di contatto con gli altri, pur 
stimolante, possa generare energia positiva oltre un certo limite. 

Infine, il lato  economico. Possiamo sentirci spinti all'azione per il guadagno, ma anche qui 

solo fino ad un certo punto, non oltre. 

Il   lato economico  è   importante,  certo.  Se   guadagnamo  poco  rispetto allo  sforzo che  ci  è 

richiesto, dopo un po' cesseremo di impegnarci in quello sforzo. In altre parole, se non vedremo 
un ritorno economico dal nostro lavoro, probabilmente saremo demotivati. Ma non dobbiamo 
pensare che la nostra energia aumenti solo con l'aumentare del denaro percepito. Chi pensa questo 
è  destinato a  rimanere  infelice, perché  non raggiungerà mai  un livello economico  che possa 
ritenere sufficiente. Sarà sempre attento a guardare ciò che guadagnano gli altri per confrontarsi 
con essi, e troverà sempre qualcuno che prende più soldi.  

L'unico modo per liberarsi dal dilemma del denaro è seguire due semplici regole. La prima 

regola indica che il denaro non deve essere un fine, ma un mezzo. È il premio per un lavoro 
svolto bene, per la soddisfazione che deriva dall'impegno. Non è il fine a cui tendono gli sforzi. 
La seconda regola suggerisce che il livello di denaro a cui tendere è quello che risponde ad un 
confronto con le proprie personali esigenze. Dobbiamo cercare di guadagnare per poter soddisfare 
i nostri bisogni e realizzare progetti precisi, non per accumulare il più possibile. 

3.3. La seconda categoria: i motivatori 

Passiamo   ora   all'esplorazione   della   seconda   categoria,   quella   che   appartiene   al   percorso 

positivo. Abbiamo detto che il secondo tecnico che dialoga fa riferimento a questa categoria. 
Cerchiamo allora di scoprirla attraverso le sue stesse parole. 

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“Sono   abbastanza   soddisfatto.   Anch'io   ho   trovato   dei   problemi   che   non   mi   sarei 

aspettato.   Quello   della   mancanza   di   spazio   e   della   confusione,   per   esempio.   Sto 
mettendocela tutta per migliorare la situazione.” 

Stessa azienda, stessi problemi. Il secondo tecnico si trova d'accordo con il primo: l'ambiente  

ostacola il buon svolgimento del lavoro; l'atteggiamento però differisce. Il problema c'è, la sua 
soluzione non sarà facile, ma il secondo tecnico, a differenza del primo, si impegna per fare in  
modo di poterlo risolvere. Non può fare di più, non è nell'ambito delle sue possibilità eliminarlo. 
Però, se da una parte non smette di fare qualcosa per risolverlo, dall'altra è cosciente che deve in 
qualche modo soprassedere, perché fermandosi di fronte a questo ostacolo non può raggiungere 
obiettivi per lui più importanti. Quindi probabilmente farà in modo di conviverci. L'ambiente per 
questo secondo tecnico è “un” fattore importante, non “il” fattore importante. Della sicurezza  
aziendale, altro fattore di non insoddisfazione, egli non parla nemmeno. La dà per scontata. Non 
rientra nei suoi interessi. Lui è interessato ad altre cose. Vediamo quali sono. 

3.3.1. Il contenuto del lavoro 

“ Intanto però il lavoro che faccio mi piace” 
Ecco qual è il primo elemento importante per il nostro tecnico. Per lui le condizioni ambientali 

sono sopportabili perché riesce a dedicarsi ad una attività che incontra il suo interesse. Sa che  
potrebbe rendere di più e stare più tranquillo, se lavorasse in condizioni più favorevoli, ma sa  
anche   che   difficilmente   si   realizzano   condizioni   ideali.   Lui   punta   su   ciò   che   ritiene   più 
importante: fare qualcosa che risponda ai suoi interessi e ai suoi obiettivi professionali. Questa è 
la sua priorità. Le altre cose vengono dopo, compreso l'ambiente. Meglio un bel lavoro in un open 
space affollato che un brutto lavoro in un ufficio elegante e riservato. 

3.3.2. La sfida 

“Dopo un inizio cauto sto cercando di affrontare situazioni sempre più difficoltose, per 

mettere alla prova ciò che ho imparato.” 

Ecco il suo secondo elemento di motivazione: la sfida. Il tecnico è incentivato dalle situazioni 

che mettono alla prova le sue capacità. Cerca di porsi dei traguardi da superare, affrontando prove 
di complessità crescente. Se deve svolgere un lavoro semplice, per quanto possa piacergli, sarà 
solo parzialmente motivato. Così si impegna nelle difficoltà dei problemi da risolvere, in modo da 
dover mettere in campo delle capacità sempre nuove. 

3.3.3. L'autonomia 

“Se tutto va bene, fra poco tempo sarò probabilmente lasciato da solo nel supervisionare 

la rete informatica aziendale, senza bisogno che un tecnico più esperto controlli ciò che 
faccio.” 

Il terzo elemento che interessa al nostro amico è l'autonomia. Egli tende a non dipendere da 

altri, vorrebbe arrivare a potersi organizzare il lavoro come vuole lui. Cerca di dare un contributo 
personale a ciò che fa, cerca di limitarsi a portare dei miglioramenti. Se deve seguire regole e  
procedure, la sua motivazione cala. 

Sa che sarà cresciuto nel campo professionale solo quando avrà piena responsabilità sulla sua 

area  di lavoro. Quando l'azienda  si  potrà fidare a  lasciarlo da solo,  quando gli  altri faranno 
riferimento a lui per avere delle indicazioni su problemi da risolvere e lui avrà autonomia nelle 
scelte senza dover chiedere il permesso ad altri, allora si sentirà professionalmente completo. 

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3.3.4. Il riconoscimento 

“Vedremo...   qualcuno   si   accorgerà   dei   risultati:   sarei   contento   se   arrivasse   un 

riconoscimento, anche simbolico” 

Quarto   elemento   di   motivazione:   il   riconoscimento.   Il   nostro   amico   ci   tiene   molto   che 

qualcuno, magari in una posizione di importanza in azienda, si accorga di lui, ma è consapevole  
che devono essere i risultati  a parlare:  se  non ci sono risultati,  è inutile  pensare di  ricevere 
gratificazioni.

È certo che se avrà raggiunto un buon livello di competenze e capacità professionali e se  

conseguirà buoni risultati, potrà pensare di avere dei ritorni. 

Sta attento a creare e a dare, prima di pensare a ricevere. Inoltre non punta solo all'incentivo 

economico,  ma  all'incentivo in quanto tale. Anzi, ci sono certi  riconoscimenti  che non sono 
monetizzabili, ma per lui più importanti: ad esempio l'attestazione di stima o la possibilità di 
partecipare a momenti di incontro riservati, professionali o formativi. 

3.4. La dinamica dei motivatori 

Ecco dunque gli altri  quattro fattori che  possono essere veramente  chiamati  “motivatori”, 

quelli che liberano energie positive. Essi funzionano al meglio quando anche gli altri quattro, i 
soddisfattori, hanno raggiunto un livello di equilibrio. 

Non importa che i soddisfattori siano completamente realizzati, è sufficiente che l'individuo 

non riceva da essi problemi che possano distogliere la sua attenzione dai motivatori. Perciò non si 
può aspettare ad essere completamente soddisfatti prima di cominciare ad essere motivati. Si sarà 
un po' soddisfatti e un po' no: l'importante è che non ci sia un fattore che dia grossi problemi.  
Prendiamo, ad esempio, in considerazione la sicurezza. Non saremo mai del tutto sicuri della 
stabilità della nostra situazione: l'azienda in cui lavoriamo potrebbe sempre fallire. Se l'azienda ha 
una certa stabilità, noi smetteremo di pensare al fatto che potremmo anche perdere il posto di 
lavoro e ci dedicheremo a pensieri più produttivi. Ma se la situazione è precaria, se sappiamo che 
entro   un   mese   l'azienda   chiuderà,   allora   il   fattore   sicurezza   diventerà   per   noi   di   primaria 
importanza e ci dedicheremo alla ricerca di una situazione alternativa che ci possa portare un 
certo  equilibrio.   Quando,   poi,  questo equilibrio sarà  raggiunto,   ricercheremo   qualcosa  di  più 
stimolante, che non potremo trovare nei soddisfattori ma nei motivatori. 

I   motivatori   fanno   in   modo   che   l'individuo   produca   energia.   Non   hanno   un   punto   di 

saturazione: non raggiungono un livello oltre il quale non riescono più a motivare. Chi punta 
all'autonomia   e   la   ottiene,   ad   esempio,   sarà   sempre   più   motivato   se   il   lavoro   darà   sempre 
maggiori spazi di autonomia e di responsabilità.  

Ora svolgiamo una rapida rassegna dei quattro motivatori, così da riconoscerli meglio. 
Valorizzare il contenuto del lavoro significa ricercare in esso quelle attività che consentono 

di sviluppare le proprie competenze. Significa trovare attività sempre varie che siano consone con 
le proprie aspirazioni, che permettano di metterle in pratica e al contempo di aumentare il proprio 
patrimonio personale di  competenze, conoscenze e capacità. Il tipo di lavoro che facciamo ci 
accompagna per tutta la giornata; se non lo apprezziamo non possiamo pensare che ci siano, fuori 
da esso, altri fattori tali da compensare questa insoddisfazione. Saremmo illusi, e ci renderemmo 
conto di essere costantemente insoddisfatti e infelici.  

Affrontare le sfide vuol dire cercare situazioni che impegnano al massimo le proprie abilità. 

Anche se dure e difficili, non spaventano le condizioni di lavoro, anzi costituiscono uno stimolo 
per mettersi alla prova.  

Ricercare  l'autonomia  significa cercare di assumersi responsabilità. Essere autonomi infatti 

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vuol dire avere la possibilità di prendere decisioni da soli, ma vuol dire anche rispondere in prima 
persona delle decisioni prese. Se gli effetti di queste scelte sono positivi, tanto meglio. Il peggio  
viene quando essi sono negativi. Per questo non tutti cercano l'autonomia e la responsabilità: 
alcuni preferiscono dipendere da qualcun altro, che sarà chiamato a rispondere se le decisioni 
prese si riveleranno sbagliate. 

Il riconoscimento è il premio che è giusto aspettarsi dopo essersi impegnati a fondo. Non ci 

sono solo riconoscimenti in denaro. Colui che tende al riconoscimento vuole sentirsi importante: 
quindi sarà motivato principalmente dal fatto di poter acquisire elementi che lo faranno sentire  
tale.   Per   esempio,   possono   essere   simboli   di   status   che   altri   non   possono   avere,   oppure   la 
possibilità di essere considerato come appartenente ad una categoria particolare, il cui accesso 
non   a   tutti   è   consentito.   Per   il   tecnico   potrebbe   essere   il   riconoscimento   dell'appartenenza,  
all'interno di quell'azienda multinazionale, al gruppo più esperti al mondo in una determinata  
tecnologia.  

In ogni caso, il riconoscimento deve seguire al raggiungimento del risultato. Ha effetto sulla 

motivazione, se legato ad un impegno che ha portato ad un risultato, altrimenti non incentiva 
assolutamente   nulla.   Se   invece   il   premio   viene   associato   direttamente   all'azione   fatta   per 
raggiungerlo, si viene stimolati a operare ancora meglio per avere un altro premio.  

Il   riconoscimento   deve   non   necessariamente   giungere   dall'esterno:   può   essere   un   fatto 

personale,  individuale.   Se   abbiamo   ottenuto   veramente   un   livello   effettivo   di   autonomia, 
possiamo anche gratificarci da soli quando sappiamo di avere raggiunto un risultato eccellente.  

3.5. Come agire con le aspettative 

Quando si agisce  sulle proprie aspettative bisogna seguire alcune semplici regole. Queste 

regole tendono ad evitare gli errori in cui è più facile cadere. 

3.5.1. Errore numero uno: inseguire i soddisfattori 

È l'errore che commette il primo tecnico del nostro esempio e che lo porta dritto sul percorso  

negativo.  Egli   non si  rende  conto che  considera  motivatori  quegli   elementi  che  invece   sono 
soltanto semplici   soddisfattori.   Fare   confusione   tra   le  due   categorie  induce  a  inseguire   falsi 
obiettivi
.   Questi   obiettivi   li   consideriamo   falsi   perché,   una   volta   raggiunti,   improvvisamente 
“spariscono”, nel senso che perdono la loro importanza: non stimolano ad agire ulteriormente. 

Per evitare questo errore è necessario prima di tutto prendere coscienza della differenza che  

esiste fra le due categorie. Poi, in secondo luogo, è necessario agire in modo diverso a seconda 
della categoria: puntare ad una situazione di  equilibrio per la prima, per poi concentrarsi  con 
forza sulla seconda. 

3.5.2. Errore numero due: puntare su tutti i fattori 

Dobbiamo essere realisti:  non possiamo pretendere di avere tutto. Non si può pensare di 

trovare un lavoro sotto casa e con colleghi piacevoli (ambiente), in un'azienda solida (sicurezza), 
dove ci stanno ad ascoltare (coinvolgimento), dove siamo pagati bene (soldi), dove possiamo 
imparare  divertendoci  (contenuto)  e  risolvendo  problemi   complessi  (sfida),  con  possibilità  di 
carriera (autonomia) e con gratificazioni di ogni tipo (riconoscimento). Una situazione di questo 
genere è praticamente impossibile da trovare. Se cerchiamo di avere tutto e il metro con cui 
misuriamo la nostra soddisfazione è quanto la nostra situazione reale si discosta da questo tutto, 

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allora saremo per sempre malcontenti.  

Dobbiamo piuttosto selezionare attentamente i fattori su cui puntare e fare scelte precise per 

ottenere risultati proprio dove abbiamo scelto di indirizzare i nostri sforzi. 

Se, ad esempio, pensiamo che sia fondamentale migliorare le nostre competenze professionali, 

saremo disposti ad accettare un lavoro che non ci porta alcuna crescita di tipo economico, ma ci 
offre   una   grossa   opportunità   di   miglioramento   in   termini   di   esperienza.   In   questo   caso 
privilegeremo il fattore “contenuto” rispetto al fattore “soldi”. Viceversa, se decidiamo che la  
nostra   priorità   risiede   nel   fattore   economico,   sceglieremo   un   lavoro   che   ci   farà   guadagnare 
parecchi soldi, anche se sarà scomodo dal punto di vista logistico e non utilizzerà appieno le 
nostre   competenze.   Così   facendo   dunque   privilegeremo   il   fattore   “soldi”   rispetto   ai   fattori 
“ambiente” e “contenuto”. 

3.5.3. Errore numero tre: generalizzare 

Un  aspetto  fondamentale  delle  aspettative  è   che   queste   sono  individuali.   Esse   variano da 

persona a persona, in misura  talvolta piuttosto consistente. Spesso però tendiamo a dare per 
scontato che anche gli altri siano mossi dalle nostre stesse motivazioni. Questo è un errore tanto  
più grossolano da parte di chi ha responsabilità su altre persone. 

Capire quali sono le aspettative dei collaboratori è un compito fondamentale per un capo. 

Eppure   i   dirigenti   in   genere   dedicano   pochissimo   tempo   all'individuazione   dei   fattori   di 
soddisfazione e di motivazione delle persone con le quali lavorano.  

Per esempio, un manager può essere motivato dalla responsabilità. E magari affida un ruolo di 

riferimento ad un individuo per premiarlo, senza rendersi conto che l'autonomia mette in crisi 
quel collaboratore, che forse non si sente pronto per assumersi  responsabilità e sta puntando 
ancora a sviluppare adeguate competenze professionali. In questo caso il capo considera il fattore 
“autonomia” quando invece doveva tenere presente il fattore “contenuto”. Ancora, il capo può 
cadere   i   errore   al   contrario,   ovvero   pensare   che   i   collaboratori   non   vogliano   prendersi 
responsabilità, ma ricerchino la sicurezza. Così affida loro compiti ripetitivi e piatti, mentre essi 
ricercano situazioni più stimolanti. In questo caso punta sul fattore “sicurezza” invece di puntare 
sui fattori “contenuto” e “sfida”. 

La generalizzazione errata non viene fatta solo nei confronti di  categorie di individui, ma 

anche in riferimento ad uno stesso individuo

Ciò accade quando si identifica un'attesa in una persona e si pensa che quella persona debba 

avere sempre la stessa attesa. Magari uno è entrato in un'azienda nel momento in cui ricercava 
una   certa   sicurezza,   forse   perché   proveniente   da   un'esperienza   fallimentare   e   con   oggettivi 
problemi di autosostentamento. È ovvio che in una situazione del genere la scelta viene fatta in  
funzione   della   sicurezza   del   lavoro.   Ma   quando   questo   individuo   avrà   raggiunto   la   sua 
tranquillità,   la   sua   motivazione   cambierà.   Magari   vorrà   fare   cose   nuove,   essere   coinvolto  in 
gruppi di lavoro... Se il capo non si accorge che le sue attese sono cambiate, rischia di pensare che 
solo con l'assunzione in azienda quell'individuo debba essere motivato “a vita”, senza prendere in 
considerazione la possibilità di mettere a frutto le sue abilità in altri modi. In questo caso il capo  
si fissa sul fattore “sicurezza” mentre invece l'attesa del collaboratore è rivolta verso il fattore  
“coinvolgimento”. 

Aspettative: indicatori di percorso 

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Percorso positivo: 

Ritenere più importanti i “motivatori”: 

contenuto del lavoro, sfida, autonomia, riconoscimento 

Percorso negativo: 

Ritenere più importanti i “soddisfattori”: sicurezza, ambiente, coinvolgimento, soldi 

IDEE IN AZIONE N°13: la mappa delle aspettative 

Che cosa ti aspetti di ottenere dalla tua attività? Prova a mettere a fuoco il tipo e l'intensità delle 

tue aspettative, cercando di delineare la scelta delle priorità. 

Prova ad attribuire un punteggio ai fattori che troverai qui di seguito, da 1 (importanza minima)  

a 10 (importanza massima). 

Il livello di soddisfazione 

Cominciando con i soddisfattori, potrai effettuare un'autoanalisi del tuo livello di soddisfazione. Per  
poter meglio evidenziare la scelta di priorità introduciamo una semplice regola: non ci possono essere  
due fattori con lo stesso punteggio 

DENARO 

1 = minimo 10 = massimo 

• Attribuisco importanza alle ricompense economiche? 

• Cerco le occasioni per guadagnare di più? 

1.

• Do un significato economico a ciò che faccio? 

2.

SICUREZZA

1 = minimo 10 = massimo 

• Cerco un lavoro soprattutto “sicuro”? 

• Valorizzo in particolare la “solidità” dell’Azienda? 

• Amo la regolarità e le prospettive a lungo termine? 

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COINVOLGIMENTO 

1 = minimo 

10 = massimo 

• Cerco di fare sentire la mia presenza? 
• Mi aspetto di essere informato sulle attività aziendali? 

1. • Sono particolarmente gratificato dal vedere le mie idee  

   messe in pratica? 

2. AMBIENTE

1 = minimo 10 = massimo 

• Desidero che il luogo di lavoro favorisca anche i miei
   hobby e svaghi? 

• Desidero una località di lavoro che soddisfi anche le mie  
   esigenze di vita? 

• Ricerco un ambiente piacevole e un orario regolare? 

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Il livello di motivazione 

Continuiamo con i motivatori. Ricordati di attribuire ad ogni fattore un punteggio diverso da ogni altro,  
per evidenziare le priorità. 

1 = minimo 

10 = massimo 

CONTENUTO DEL LAVORO 

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• Cerco di svolgere attività che sviluppino le mie competenze? 
• Rifuggo dai lavori ripetitivi e di routine? 
• Amo occuparmi di cose varie, differenti tra loro? 1 = minimo 10 = massimo 

AUTONOMIA 

• Ricerco sul lavoro la massima autonomia? 
• Cerco di evitare di essere indirizzato o guidato dagli altri? 
• Mi sento responsabile di ciò che faccio? 

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1 = minimo 

10 = massimo

RICONOSCIMENTO 

• Desidero che il mio lavoro sia considerato importante? 
• Ricerco le occasioni di prestigio (es: contatti importanti, ecc.)? 
•  Amo i particolari che “fanno status”? 

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1 = minimo 

10 = massimo

SFIDA 

• Ricerco situazioni che impegnino le mie abilità al massimo? 
• Sono stimolato da impegni duri e difficili? 
• Mi sforzo di svolgere compiti che richiedono impegno crescente? 

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Qual è il tuo livello di soddisfazione per ciò che fai? Quale invece il tuo livello di motivazione a fare  
meglio e di più? Quali sono i fattori di soddisfazione carenti? Ricordati che se c'è qualche fattore di  
soddisfazione molto carente, ci sarà un impedimento all'espressione di quelli di motivazione.. 

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102

4. Le opportunità 

LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL BREVE TERMINE 

Segui il percorso positivo: 

sii obiettivo nel valutare gli elementi  della situazione in cui ti trovi e cogli le opportunità  

che questa ti può offrire. 

Abbandona il percorso negativo: 

evita che un solo aspetto negativo della situazione “contagi” anche tutti gli altri,  

togliendoti obiettività di giudizio e impedendoti di individuare e sfruttare al meglio le  

opportunità. 

Ormai   conosciamo   abbastanza   bene   i   nostri   due   tecnici.   Abbiamo   esaminato   le   loro 

motivazioni a lungo termine, chiamandole “aspirazioni”. Abbiamo poi preso in considerazione le 
loro motivazioni a medio termine, che abbiamo chiamato “aspettative”. Ora non rimane altro che 
compiere un ultimo passo per esaminarne le motivazioni a breve termine.  

I due casualmente si incontrano ad un anno di distanza dal loro inserimento. Le cose non 

sembrano essere andate molto bene, né per uno né per l'altro. Ma ascoltiamo ciò che si dicono. 

Le parole del primo tecnico

“Sono   molto   deluso.   Non   si   è   verificato   nulla   di   quanto   mi   avevano   esposto   durante   il 

colloquio di assunzione. Non ho risolto nessuno dei problemi che ti avevo evidenziato qualche 
tempo fa, quando ci siamo visti per quel corso di formazione. Ora penso solo a portare a casa lo 
stipendio e sto cercando un altro lavoro per togliermi di qui il più in fretta possibile, sto solo  
perdendo tempo”.  
Le parole del secondo tecnico: 

“Ti capisco… anch'io devo dire che mi aspettavo qualcosa di più. All'inizio era tutto molto  

interessante, ma dopo sono entrato nella routine, si sono esauriti gli stimoli… Sento che le mie  
potenzialità non vengono utilizzate; ne ho anche parlato con il mio capo ma mi ha confermato che  
non   c'è   nulla   da   fare.   Così   probabilmente   anch'io   mi   guarderò   intorno.   Intanto   però   sfrutto 
l'occasione di operare in autonomia sulla rete aziendale e di addestrare un collega più giovane.  
Così   posso   approfondire   le   mie   conoscenze   tecniche   ed   iniziare   ad   affrontare   problemi   di 
coordinamento di altre risorse…” 

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Rieccoci di nuovo alle prese con i due percorsi. Manco a dirlo il primotecnico è nel percorso 

negativo. È deluso, e questo possiamo comprenderlo: non è riuscito a vedere realizzarsi nessuna 
delle sue aspettative. Ma dalle sue parole comprendiamo qualcosa di più: lui ha rinunciato, in 
maniera definitiva a ricavare qualcosa di buono dalla situazione in cui si trova. Vede tutto in 
chiave negativa, come se l'esperienza finora fatta fosse tutta da buttare. Ormai non presta più  
alcuna energia al lavoro, pensa solo a cercarsi un'altra occupazione: in altre parole cerca di ancora  
di “andare via”. Ricordate che “andare via da” significa essere spinti da bisogni e quindi seguire il 
percorso negativo? 

Ora passiamo al secondo tecnico. Anch'egli è piuttosto deluso, ma vede le cose in maniera del 

tutto differente. Il secondo sa cogliere ciò che di positivo la situazione può offrirgli. Anche se il 
bilancio non è favorevole, anche se probabilmente, a meno che le cose non volgeranno al meglio, 
lui   cambierà   azienda,   anche   se   ci   sono   seri   motivi   di   malcontento,   la   sua   mente   non   è 
completamente offuscata dalla negatività. Piuttosto cerca di cogliere tutto ciò che la situazione 
può presentare di utile: nel suo caso approfondire la sua competenza tecnica e cominciare a 
sviluppare alcune abilità gestionali. 

In altre parole, il secondo è capace di cogliere le opportunità. 

4.1. Regole per cogliere le opportunità 

Per cogliere le opportunità valgono solo alcune semplici regole di base. 

4.1.1. Prima regola: agire in tempo reale. 

L'opportunità   non   sarebbe   tale   se   si   potesse   rimandare   la   scelta   di   poterla   cogliere. 

L'opportunità passa e va. Se l'abbiamo colta, bene. Altrimenti non ritorna. E se ci sembra che 
ritorni, vuol dire che non era una vera opportunità. 

Può   apparire   un   po'   paradossale,   ma   l'importanza   di   un'opportunità   è   inversamente 

proporzionale alla sua ripetibilità. In parole semplici, le opportunità grosse si verificano solo una 
volta. Però ce ne sono anche di piccole che vale la pena cogliere. 

Quindi, occhi aperti! Non appena si presenta un'occasione, cerchiamo di agire in  maniera 

rapida.   Il   secondo   tecnico   non   rimanda:   se   può   prendere   qualcosa   ora,   prende   e   basta.   Il 
vantaggio, anche se piccolo, è immediato. E domani potrebbe essere troppo tardi. 

4.1.2. Seconda regola: mente libera. 

Per cogliere l'opportunità bisogna innanzitutto vederla. Se non la vedi, non la puoi certamente 

cogliere.   Ma   si   percepisce   un'opportunità   solo   quando   si   ha   la   mente   libera   e,   per   quanto 
possibile, positiva. I peggiori nemici dell'opportunità sono il malumore ed il pensiero negativo.  

Pensiamo al primo tecnico: è così deluso ed arrabbiato che non riesce a vedere nulla di buono. 

È così che si perdono grosse opportunità. Ricordiamoci di mantenere  l'obiettività  in tutte le 
situazioni. 

4.1.3. Terza regola: non curarsi dei vantaggi degli altri 

Viviamo in un mondo pieno di interdipendenze. Così è probabile che se facciamo qualcosa di 

buono per noi, anche altri ne goderanno alcuni benefici. È un dato di fatto ineliminabile.  

Se pensiamo di trovare opportunità che diano vantaggi solo a noi, dobbiamo sapere che si 

verificheranno molto raramente. Così, se non vogliamo dare la soddisfazione ad altri di avere 

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qualche vantaggio, ci precluderemo il raggiungimento di mete importanti.  

Pensiamo  al  secondo tecnico:   nonostante   sia   arrabbiato con  l'azienda,   comunque   cerca  di 

svolgere al meglio il suo lavoro perché ciò dà beneficio soprattutto a se stessi. 

Il primo invece per non offrire vantaggi ad un'azienda che non lo merita danneggia prima di  

tutto se stesso. 

4.2. La dinamica delle opportunità 

Abbiamo detto che saper cogliere un'opportunità significa agire rapidamente. Ci serve dunque 

sapere come la motivazione agisce in tempo reale. Teniamo presente che la motivazione a fare 
qualcosa segue una formula piuttosto semplice, la seguente: 

Motivazione = Aspettativa X Valore 

Questa formula indica che la motivazione cresce a seconda di quanto crescono aspettativa e 

valore, e si abbassa quando scende anche un solo di questi due elementi. Ne basta uno per farla 
scendere
: se uno degli elementi della moltiplicazione è zero, il risultato sarà zero. 

Ora cerchiamo di capire il suo significato. “Aspettativa” è il livello a cui si tende per riuscire a  

fare una determinata cosa. “Valore” è l'importanza che si attribuisce a quella determinata cosa.  

La nostra motivazione sarà alta, se potremo fare qualcosa che giudichiamo molto importante, 

ma anche realizzabile. Uno scrittore è motivato nello scrivere un libro perché ritiene che il libro  
sia   un'opera   importante   e,   poiché   sa   scrivere,   per   lui   è   anche   realizzabile.   Quindi   valore   e 
aspettativa sono entrambi alti, e la motivazione sarà alta. Ma una persona comune, anche se 
ritiene il libro una meta importante, probabilmente sa di non essere capace di raggiungere il  
livello di uno scrittore. Quindi il valore è alto, ma l'aspettativa sarà bassa. Così uno dei due  
elementi fa abbassare anche il risultato finale: la motivazione in tal modo sarà bassa. 

Capito il gioco? Proviamo a sintetizzare: 
Alto valore e alta aspettativa Æ Alta motivazione 

Se una cosa mi interessa molto e giudico possibile realizzarla, sarò motivato nel cercare di  

ottenerla. 

Alto valore e bassa aspettativa Æ Bassa motivazione 

Se una cosa mi interessa molto, ma penso che ci siano poche possibilità di realizzarla, sarò  

poco motivato nel cercare di ottenerla. 

Alta aspettativa e basso valore Æ Bassa motivazione 

Se giudico fattibile realizzare una certa cosa, ma mi interessa poco ottenerla, sarò poco  

motivato. 

Bassa aspettativa e basso valore Æ Bassa motivazione 

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Tanto meno sarò motivato a perseguire qualcosa che, oltre ad interessarmi poco, giudicherò  

anche poco realizzabile. 

Cogliere opportunità significa essere motivati a fare qualsiasi cosa possa procurarci del valore 

e ci faccia avvicinare ai nostri obiettivi o alle nostre aspirazioni. 

Per potere cogliere le opportunità è dunque necessario tenere presenti due metodi: 

Primo metodo: agire sull'aspettativa 

Soprattutto in funzione dei cambiamenti è opportuno rivedere le proprie attese e cercare in 

ciascun momento di individuare “cose che si possono realizzare”. 

Qualsiasi cosa che in linea di principio possiamo fare è una possibile opportunità. 
Secondo metodo: agire sul valore 

Dobbiamo allenarci a scoprire il potenziale valore di ogni situazione. Possiamo fare questo 

domandandoci continuamente: “Che cosa di buono posso ottenere in questa circostanza?” “Come 
posso utilizzarla per avvicinarmi ai miei obiettivi?” “Ci sono in questa occasione dei vantaggi che 
io non riesco a vedere?” 

Ci stupiremo nel constatare come ogni volta che, pur in modo scettico, ci porremo quest'ultima 

domanda, la risposta sarà “sì”. 

Ritorniamo ai nostri due tecnici. Ora è chiaro perché il secondo sa cogliere le opportunità:  

agisce tempestivamente, non perde la sua obiettività, non si preoccupa se il suo comportamento  
produce vantaggi anche a chi non lo merita
. Seguendo queste prime tre regole getta le basi per le 
successive due: cercando più situazioni possibili in cui aumentare la propria motivazione scopre 
cose anche banali che si possono fare 
(azione sull'aspettativa) di cui riconosce un'utilità per se  
stesso
 (azione sul valore). 

Molto spesso ci lamentiamo del fatto che la vita non ci offre opportunità. Sbagliato! Siamo noi 

che non riusciamo a vederle, perché non mettiamo in gioco un atteggiamento di ricerca continua 
a scoprire, nella situazione in cui ci troviamo, qualsiasi azione realizzabile ed in grado di produrre 
del   valore.   Tendiamo   a   commettere   l'errore   di   considerare   “banali”   attività   che   invece,   se 
osservate meglio, sono molto importanti.  

Qualche esempio? Preparare una presentazione di cui non vedo l'utilità e che percepisco come 

una perdita di tempo può comunque permettermi di affinare le mie capacità di parlare in pubblico. 
Partecipare   ad   un   gruppo   di   lavoro   su   un   tema   che   non   è   di   mio   interesse   può   comunque 
permettermi di conoscere nuove persone e realtà diverse dalla mia. Dover usare uno strumento 
diverso da quello abituale può essere una scocciatura, ma mi permette di acquisire un'abilità in 
più. Affrontare una situazione in cui sappiamo che qualcuno si opporrà a noi, come ad esempio  
un cliente aggressivo, può non essere piacevole ma permette di sviluppare migliori capacità di 
relazione. 

Allenarsi a scoprire opportunità è un po’ come prepararsi a scoprire monete d'oro nascoste, 

ma che esistono e che, se vengono raccolte, possono tutte insieme costruire un tesoro.  

Opportunità: indicatori di percorso 

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Percorso positivo: 

1.

1. Agire in tempo reale 

2.

2. Tenere la mente libera 

1.

3. Accettare che anche altri traggano vantaggi 

2.

4. Individuare ogni possibile spazio d'azione 

5. Attribuire valore anche ad attività apparentemente banali 

Percorso negativo: 

1. Rimandare e rimanere inattivi 2. Lasciare che un elemento negativo provochi un “corto-

circuito” mentale 3. Evitare di procurarsi un vantaggio perché “anche altri ci guadagnano”  

4. Focalizzarsi su ciò che si è sempre fatto 5. Definire “banali” e “inutili” certe attività e  

non prenderle neanche in considerazione 

 IDEE IN AZIONE N°14: a caccia di opportunità 

Questo esercizio ha l'obiettivo di esercitarti a cogliere le opportunità da qualsiasi situazione

Dovresti dunque provare a metterlo in atto, anche solo mentalmente, in qualsiasi situazione ti possa  
trovare. 

Pensa all'attività che stai svolgendo in questi giorni. 

Scrivi al centro di una pagina del C-Book gli scopi per cui la stai svolgendo, i risultati che si  

attende chi ti ha commissionato il lavoro. 

Scrivi, intorno agli scopi, tutti i possibili vantaggi, che puoi ottenere svolgendo quella attività e  

collegali con un trattino agli scopi. Otterrai una specie di figura “a raggi”, dove ogni opportunità è  
collegata, mediante un raggio, al nucleo centrale degli scopi. 

Cerca di trovare tutte, ma proprio tutte le opportunità: anche le più nascoste e le più banali. 

Le avevi tutte presenti prima di iniziare questo esercizio? Non attribuisci all'attività che stai  

svolgendo un valore maggiore rispetto a prima? 

La tensione verso le opportunità 

Come   hai   già   fatto   per   aspirazioni   ed   attese,   prova   ad   effettuare   una   autovalutazione   della   tua  
tensione verso le opportunità. 

OPPORTUNITA’ 

1 = minimo 10 = massimo 

• Sono flessibile, pronto a rivedere le mie attese 
   a fronte di cambiamenti?

• So cogliere gli aspetti di vantaggio delle situazioni? 

• Ritaglio aree di iniziativa personale? 

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Sei abituato a cogliere le opportunità? Vorresti migliorare? Fissa il livello di miglioramento che  
vorresti raggiungere, oltre a quello che descrive la tua attuale posizione. Riuscirai a migliorarti tanto 
più metterai in pratica l'esercizio “a caccia  di  opportunità”, sforzandoti  di  cercare,  in qualsiasi  
situazione, tutti i vantaggi che ti può dare. 

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Minuti / ore / giorni / settimane / mesi  / anni / decenni 

Fig. 1 – aspirazioni, attese e opportunità in funzione della prospettiva nel tempo e del legame con la realtà.